OTTAVIO BIANCHI

Cupo solitario

Lo straordinario rapporto con lo città, l'etichetta di "sindacalista", il ricordo di Viola, la nuova Roma, il gioco, le critiche gratuite alla persona da parte di chi non lo conosce.
di PINO CERBONI

L' uomo sembrerebbe ad una lettura poco attenta, di quelli che sfuggono a qualsiasi tipo di interpretazione. Aggressivo, burbero, insofferente. In realtà Ottavio Bianchi è tutto il contrario di quello che appare o che comunque lui vuoi fare apparire: colto, intelligente, disponibilissimo. Solo che il suo carattere lo porta sempre a non accettare il pressapochismo, l'impreparazione, la maleducazione. In un mondo come quello del calcio, dove la bugia è d'obbligo e la gente che è pronta a pugnalarsi alle spalle si scambia falsi sorrisi, è difficile accettare un "muso duro", un personaggio che mette al primo posto la sincerità. E Bianchi prima di tutto è un sincero, uno "vero". Per questo chi lo conosce poco dice che è antipatico.
Perchè ha paura delle sue verità.
- Bianchi, lei come si definisce? E come non le piace essere definito?
«Non credo di essere in grado di darmi una definizione. Sono io e basta, con pregi e difetti comuni a tanta altra gente. Del resto ne vedo di tutti i colori e sono ormai vaccinato a qualsiasi tipo di aggettivo o etichetta che mi viene affibiata. Mi infastidisce solo che magari una critica alla persona provenga da chi non mi conosce affatto o quanto meno solo superficialimente. Dagli amici, da coloro che hanno con me un buon rapporto accetto tutto.
In ogni caso non ne faccio un dramma, fa tutto parte delle regole del gioco, che io conosco e, facendone parte, ovviamente ho anche sottoscritto».
- Dicono di lei che è un “uomo contro”. È vero che per rendere al massimo debba trovarsi in difficoltà?
«In realtà sono stato sempre chiamato a lavorare solo quando c'erano da risolvere dei problemi e quindi ho dovuto fare di necessità virtù. Però confesso che mi piacerebbe non essere sempre di fronte alle difficoltà. Gradirei trovare una volta la pappa già fatta».
- Quanto le serve oggi, nel rapporto con la società e con i giocatori, il suo passato da... « sindacalista».
«Ecco, questa è una di quelle etichette che mi hanno appiccicato addosso senza che io abbia fatto nulla per meritarmela. E comunque venni chiamato "sindacalista" in modo dispregiativo. Non penso che ai tempi in cui giocavo fossi all'altezza di un sindacalista: non ne avevo le capacità e soprattutto mi mancava la volontà. Accadde solo che i miei compagni mi chiesero un parere su una certa situazione e io l'ho espresso. Ho capito, purtroppo, che in questo nostro ambiente non si può dire la verità: non bisogna mai rivelarla. Perché è l'ambiente stesso che vuoi sentirsi dire le cose che s'aspetta di sentire. Null'altro».
- Dopo aver lavorato e vinto a Napoli e a Roma, si sente attirato da un'esperienza a Milano? Insomma le piacerebbe essere profeta in patria?
«Dovunque sono stato, sia da calciatore che da tecnico mi sono sempre trovato benissimo. Ho lavorato in tutta Italia, isole comprese, non ho sogni nel cassetto e obiettivi da coronare. Eppoi Roma è pur sempre Roma».
- Ha un buon rapporto con la capitale? C'è qualcosa che la infastidisce?
Di Roma mi piace tutto, ma proprio tutto. E anche la lunghezza del tragitto che devo compiere per recarmi da casa a Trigoria diventa paradossalmente un vantaggio. Ogni giorno passo davanti al Circo Massimo, alla Passeggiata Archeologica e rimango estesiato. Non ho mica bisogno di andare al cinema, lo spettacolo me lo fornisce già Roma. L'unica cosa che mi rammarica è la perdita di tempo inevitabile, avrei voglia di conoscere meglio la città, ma come detto le distanze sono praticamente impossibili».
- Queste lodi alla città na­scondono forse una certa disaf­fezione nei confronti di Brescia, il luogo che le ha dato i natali? Si dice che lei non abbia più nel cuore la Leonessa d'Italia. È vero?
«Mi scuso, ma preferirei non rispondere a questa domanda. Meglio soprassedere».
- Il personaggio Viola. Che ricorda di lui?
«Purtroppo ho avuto poco tempo per stargli vicino. Credo che chi l'abbia potuto frequentare di più si debba ritenere fortunato. In quel breve periodo ho comunque capito che era una persona che aveva molto da dare. E soprattutto ho conosciuto un uomo completamente diverso da come erroneamente veniva comunemente dipinto».
- Ciarrapico invece com'è? Che cosa è cambiato alla Roma?
«Se sono qui a lavorare è perché durante il primo colloquio che abbiamo avuto si è stabilito immediatamente un rapporto di stima e fiducia reciproca.
Lo sto cominciando a conoscere solo ora ed è presto per poter dare giudizi definitivi.
La Roma sta cambiando, sta cercando di assumere la fisionomia del suo presidente. Ed è logico che sia così».
- Qual è il giocatore ideale di Bianchi?
«È una risposta facile: il giocatore che gioca per i giocatori. Quando uno è valorizzato all'interno di uno spogliatoio, è importante, molto di più di quelli che trovano risalto in televisione o sui giornali. Insomma un elemento che si mette sempre e comunque a disposizione del collettivo» .
- Che cosa risponde a chi afferma che la Roma non ha gioco?
«Niente, perché ognuno è libero di dire quello che vuole. A me non fa né caldo, né freddo. È giusto così, ci mangerebbe altro che fossimo tutti d'accordo».

Tratto da La Roma ottobre 1991

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